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SECONDA PUNTATA/I 70 anni dello Statuto, la conquista dell’autogoverno, il diritto dei siciliani al progresso

L’AUTONOMIA SICILIANA TRA OBLIO E RILANCIO NELLA PROSPETTIVA DELLA RIFORMA COSTITUZIONALE

di Gaetano Armao (Docente di diritto amministrativo europeo e contabilità pubblica nell’Università di Palermo)

Terminata la seconda guerra mondiale, e con essa la parentesi fascista e la stagione di accentramento, giunge lo Statuto autonomistico: la decisione necessitata di offrire alla Sicilia la differenziazione nell’Unita’ del Paese viene recepita pedissequamente e senza il necessario coordinamento nell’ordinamento costituzionale, salvo – in un secondo momento – a determinarne un adeguamento forzato e strisciante.

Lo statuto, frutto di una peculiare congiuntura istituzionale, pur con alcune pregevoli intuizioni che introducono originali soluzioni organizzative, e’ elaborato dai consultori secondo una concezione elitaria che non individua una precisa collocazione per la cittadinanza e l’esercizio degli istituti partecipativi (quali il referendum, le proposte di legge di iniziativa popolare etc., le quali, ad esempio, troveranno spazio nella coeva Costituzione), tutto incentrato sui rapporti Regione e Stato e sui rapporti tra gli organi regionali. Non va dimenticato, in tal senso, che la Consulta viene nominata dal Governo nazionale ed istituita presso l’Alto Commissario per la Sicilia, che la presiede di diritto.

Se appare indiscutibile l’esigenza di porre un freno alle spinte separatiste del Movimento per l’Indipendenza della Sicilia, una classe dirigente giovane e determinata, tuttavia, riuscì ad incunearsi sul versante dello scontro e massimizzare il risultato autonomistico per i siciliani.

Va riconosciuto il ruolo centrale che ebbe la Commissione preparatoria che ebbe il compito di elaborare il testo base per l’esame della Consulta, composta da esponenti politici e tecnici esperti di diritto pubblico: tra questi, tre professori dell’Ateneo palermitano (Giovanni Salemi, Franco Restivo e Paolo Ricca Salerno, ma anche di Gaspare Ambrosini), ai quali si deve l’elaborazione del progetto dell’impianto fondamentale statutario.

Lo Statuto, poi approvato dalla Consulta nel dicembre del ’45, si incentrò su due cardini fondamentali: quello riparazionista, con la previsione di strumenti di ‘risarcimento’ per i danni provocati alla Sicilia dalle politiche centralista dei governi di Roma, e quello dell’autosufficienza, ossia “dell’autonomia intesa come esercizio nell’isola di tutte o quasi tutte le funzioni svolte dallo Stato in campo nazionale, senza modificare o modificare il meno possibile l’organizzazione dello Stato medesimo” (F. Renda, Storia della Sicilia, cit., 1287).

La promulgazione dello Statuto giunge il 15 maggio 1946 (lo stesso giorno dell’emanazione dell’enciclica di Leone XIII, Rerum Novarum), il 20 aprile 1947 si celebrano le prime elezioni dell’Assemblea regionale siciliana, ed il 25 maggio successivo si insedia il primo Parlamento regionale della nuova stagione dell’Autonomia siciliana.

Oggi, una rilettura dello Statuto siciliano passa per quel processo di riforma che ha visto, dapprima, modificare il Titolo V della parte seconda della Costituzione, con la ‘costituzionalizzazione’ del c.d. Federalismo amministrativo e l’introduzione della nuova forma di governo e del sistema elettorale regionale (leggi costituzionali nn. 2 e 3 del 2001) e poi con l’avvento – sotto la spinta della ragion partitica, più che di un compiuto ed articolato processo di revisione costituzionale – del c.d. Federalismo fiscale (l. n. 42 del 2009).

Nonostante siano, ormai, decorsi dieci anni dalla richiamata riforma costituzionale del 2001, restano allo stato embrionale – ma sembrano addirittura abbandonati – i tentativi dell’Assemblea regionale siciliana di proporre al Parlamento nazionale una complessiva revisione statutaria conseguente alla legge costituzionale del 2001, ed adesso, all’inveramento del federalismo fiscale.

Il federalismo, o meglio il rafforzamento della struttura regionale del nostro ordinamento costituzionale – quello che Gaspare Ambrosini definì ‘Stato regionale’ (G. Ambrosini, Autonomia regionale e federalismo – Austria, Spagna, Germania, URSS, Roma, 1945) – e’ ormai divenuto un principio condiviso nel nostro Paese: tra le forze politiche, nella società, nella cultura.

E ciò costituisce una nuova opportunità per una Regione il cui statuto e’ stato scritto dai Padri dell’Autonomia guardando alle esperienze più ardite di regionalismo del tempo, divenendone esso stesso modello e riferimento istituzionale.

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