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Il disastro finanziario della Sicilia ed i suoi responsabili.

di Gaetano Armao
Professore di contabilità pubblica nell’Università di Palermo.

A breve non potrà che arrivare il downgrade delle agenzie di rating (abbassamento delle quotazioni) ed il debito, cresciuto del 40% in due anni, non sarà più sostenibile agli attuali costi.
Ci sono tutti gli elementi per descrivere il caos finanziario nel quale è precipitata la Sicilia, condotta ormai all’asfissia finanziaria da scelte dissennate che hanno aggravato il deficit e l’indebitamento e che hanno fatto perdere alla Regione oltre 6md€. Irrecuperabili purtroppo.
Incuranti delle gravi preoccupazioni della Corte dei conti Crocetta ed il PD continuano così l’opera di devastazione dell’autonomia finanziaria siciliana, assecondati dai parlamentari di una raccogliticcia maggioranza preoccupati soltanto di percepire i congrui gettoni sino alla fine di questa disastrosa legislatura.
Una legge finanziaria regionale che non risulta in equilibrio e che tradisce lo statuto, dopo l’illegittimo esercizio provvisorio, le dichiarazioni deliranti di Crocetta e del suo Assessore fiorentino, a conclusione del dibattito parlamentare che ne ha condotto all’approvazione, che danno per conclusa una revisione delle norme statutarie che imporrebbe alla Sicilia di rinunciare all’autonomia finanziaria. Ed adesso pure un’impugnazione di facciata della legge di stabilità statale da parte del Governo regionale la quale, anche nel caso di vittoria in Corte costituzionale, non produrrebbe effetti finanziari favorevoli a causa degli accordi del 2014 di Crocetta con Padoan.
E questo mentre la fase di transizione costituzionale nella quale si trova l’autonomia regionale – ê ormai imminente l’approvazione definitiva della controversa riforma della Costituzione da parte del Parlamento – il negoziato sull’attuazione del federalismo fiscale assume un ruolo centrale.
È evidente, infatti, che per la revisione dello Statuto di autonomia che la riforma costituzionale impone si partirà proprio dalla intese raggiunte e, più in generale, dall’assetto complessivo delle vigenti relazioni finanziarie tra Regione e Stato.
Ma, a differenza delle tre Regioni ad autonomia differenziata del nord e della stessa Sardegna , la Sicilia è sostanzialmente inerte da tre anni, se non addirittura scivolata verso un approccio remissivo e rinunciatario.
Come evidenziato anche nei documenti elaborati in materia dallo Stato le norme dello Statuto in materia finanziaria, potenzialmente “più evolute” di quelle delle altre regioni differenziate, non hanno avuto “lo sviluppo che pure ci si poteva attendere” sicché il “disegno tratteggiato nello Statuto è rimasto incompiuto” . Anche la Corte costituzionale, da tempo, ha ritenuto pregiudicata l’autonomia fiscale siciliana “è evidente come ad una ipotetica potestà tributaria liberamente esercitabile in ogni area, ad eccezione di quelle riservate allo Stato,…si sia sostituita una potestà residuale, esercitabile al margine, per così dire, della potestà tributaria dello Stato …mentre la fonte principale di finanziamento della regione è divenuto il gettito regionalmente riscosso, dei tributi istituiti e regolati dalle leggi dello Stato” (sent. n. 111 del 1999)
La sede prevista dal legislatore per la definizione degli accordi di cui all’art. 27, comma 7, della legge n. 42 del 2009 è il «tavolo di confronto»tra il Governo e ciascuna regione a statuto speciale ha condotto i negoziati per rafforzare la propria autonomia.
Secondo i Giudici della Consulta, infatti, “il «tavolo» rappresenta, il luogo in cui si realizza, attraverso una permanente interlocuzione, il confronto tra lo Stato e le autonomie speciali per quanto attiene ai profili perequativi e finanziari del federalismo fiscale delineati dalla citata legge di delegazione, secondo il principio di leale collaborazione espressamente richiamato dalla stessa disposizione”(sent. n.201 del 2010).
Ebbene, nonostante sia stato istituito anche per la Regione siciliana il 24 maggio 2012, dopo il promettente avvio non ha – ad oggi – prodotto alcun risultato. Ma a tale inerzia non si è sostituita la capacità di ottenere in sede legislativa risultati che incrementassero le entrate regionali, come pure avvenuto per le altre Regioni speciali. Addirittura, in alcuni interventi legislativi statali, sono state riviste, in termini assolutamente riduttivi, entrate di spettanza regionale.
Il riferimento è all’art.11 del citato d.l. n. 35 del 2013 che ha attribuito alla Regione siciliana in termini forfettari e riduttivi il gettito delle imposte sui redditi prodotti dalle imprese industriali e commerciali, aventi sede legale fuori dal territorio regionale, in misura corrispondente alla quota riferibile agli impianti e agli stabilimenti ubicati all’interno dello stesso.
E così per l’anno 2013, l’assegnazione è stata effettuata per un importo di 49 mn€, mediante attribuzione diretta alla Regione da parte della struttura di gestione dell’Agenzia delle entrate, mentre, a decorrere dall’anno 2014, con il D.M. 19 dicembre 2013, è stata determinata la metodologia di calcolo per determinare la quota delle imposte sul reddito relativa agli insediamenti delle imprese presenti sul territorio della Regione e ad essa spettante.
Giova ricordare che a seguito dei numerosi ricorsi presentati dalla Regione, e già dal 2010, la Corte costituzionale ha riconosciuto in molteplici interventi legislativi statali la violazione dell’autonomia finanziaria della Regione siciliana e ciò nonostante l’obsolescenza delle norme di attuazione dello Stato in materia (d.P.R. n. 1074 del 1965) proprio perché ormai incompatibili con l’ordinamento tributario, non offra se non assai limitate guarentigie.
E così la stessa Consulta a contestare l’omessa modifica delle norme di attuazione: “a ben vedere, molte delle difficoltà e dei contrasti che insorgono in ordine al regime di ripartizione delle entrate fra Stato e Regione Siciliana, e di riscossione delle entrate nella Regione Siciliana, sono da addebitarsi alla mancanza di una normativa di attuazione dello statuto che tenga conto delle profonde trasformazioni intervenute nel sistema tributario e nei rapporti finanziari fra Stato e Regione dall’epoca delle norme dettate con il d.P.R. n. 1074 del 1965“(sent. n. 89 del 2015 che richiama quanto già sostenuto nella sentenza n. 66 del 2001).
Più recentemente il Giudice delle leggi per ben sette, volte negli ultimi due anni ha ritenuto violate le prerogative finanziarie della Regione (si tratta delle sentt. nn. 145 e n. 207 del 2014, 65, 131, 176, 246 del 2015 ed, infine, la n.31 del 2016).
Tutte le pronunce hanno riconosciuto, alla stregua di quanto previsto dal primo comma dell’articolo 36 dello Statuto, che spettano alla Regione siciliana le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate ad eccezione delle nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime. E ciò nel presupposto che ove legislatore statale intenda destinare allo Stato tributi riscossi in Sicilia, occorre che vengano rispettate tassativamente le tre condizioni cui l’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965 che subordina la deroga al principio generale di spettanza (contenuto negli artt. 36 e 37 dello Statuto): la natura tributaria dell’entrata, la novità della medesima entrata e la sua destinazione a particolari finalità contingenti individuate nelle apposite leggi di copertura.
Ma la conclusione dell’accordo tra il Presidente della Regione ed il Ministro dell’economia per il 2014-2017, stipulato il 9 giugno 2014, nonostante non abbia condotto al pattuito ritiro dei ricorsi (circostanza che ha consentito alla Corte di pronunciarsi non senza constatare discrasie nel comportamento regionale), determina comunque gravissimi effetti finanziari per le entrate della Regione.
In particolare la clausola 6 dell’accordo prevede testualmente “la Regione si impegna a ritirare, entro il 30 giugno 2014, tutti i ricorsi contro lo Stato pendenti dinnanzi alle diverse giurisdizioni relativi alle impugnative di legge o di atti consequenziali in materia di finanza pubblica, promossi prima del presente accordo, o, comunque, a rinunciare per gli anni 2014-17 agli effetti positivi sia in termini di saldo netto da finanziare che in termini di indebitamento netto che dovessero derivare da eventuali pronunce di accoglimento.”.
Emerge quindi chiaramente che al di là dell’effettiva rinuncia ai ricorsi, ed anche con riguardo ai ricorsi eventualmente promossi nel periodo interessato, la Regione ha parimenti rinunciato a beneficiare degli effetti finanziari, quantomeno sino al 2017.
Sulla scorta della concordata rinuncia da parte di quest’ultima, così, l’Agenzia delle entrate trattiene il gettito proveniente dai tributi di cui pur si è accertata la spettanza, in virtù del riconoscimento che, in termini illegittimi, ha determinato che l’aumento di gettito fosse riservato al bilancio statale.
Se si considerano le previsioni in entrata del bilancio dello Stato relative al contrasto all’evasione ed alcune indicazioni che provengono direttamente dalle sentenze della Corte si può quantificare la minor entrata nel quadriennio tra i cinque ed i sei miliardi, mentre resta la constatazione della sostanziale elusione della normativa sul federalismo fiscale che pur avrebbe potuto inverare le previsioni finanziarie dello Statuto e consentire il trasferimento di funzioni alla Regione
La gravissima scelta del Governo regionale di soggiacere all’adeguamento dell’ordinamento finanziario regionale in termini unilaterali: ora con atti normativi o addirittura amministrativi generali dello Stato, ora della stessa Regione, a seguito di trattative incompatibili con le previsioni di cui al art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, è stata stigmatizzata dalla Corte costituzionale (si veda per tutte la sent. n.238 del 2015).
Essa, infatti, deve ritenersi in contrasto con legalità legale, in considerazione del natura della legge di attuazione della riforma costituzionale che connota la richiamata normativa sul federalismo fiscale, ma sopratutto la legalità costituzionale.
La giurisprudenza della Consulta, proprio con riguardo alla Regione siciliana (sentenze n. 82, n. 77 e n. 46 del 2015), ha precisato che i principi di coordinamento della finanza pubblica sanciti dalla legislazione statale si applicano anche ai soggetti ad autonomia speciale, dovendosi privilegiare in tale materia la via dell’accordo. Si esprime così un principio generale, desumibile anche dall’art. 27 della citata legge n. 42 del 2009 (sent.nn. 193 e n. 118 del 2012), che soltanto in casi peculiari può essere derogato dal legislatore statale (sent. n. 46 del 2015).
In tal senso appare opportuno precisare che la norma da ultimo citata prevede che le Regioni speciali, nel rispetto degli Statuti di autonomia, “concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ed all’esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti”, nonché al patto di stabilità interno «secondo criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti». Ma tali fonti non hanno ancora provveduto a disciplinare la materia e non hanno, allo stato, recepito né declinato il principio pattizio nelle forme necessarie a renderlo opponibile al legislatore ordinario.
Se ne deve dedurre che nonostante non possa determinare un’alterazione del riparto costituzionale delle competenze, l’emergenza finanziaria, ove la legge ordinaria non incontri un limite in una fonte superiore, ben può alimentare interventi settoriali, che, per quanto non oggetto di accordo (sentenza n. 23 del 2014), pongano, caso per caso, obblighi finanziari a carico delle autonomie speciali.
In questa prospettiva l’art. 27 della disciplina del federalismo fiscale determina una “riserva di competenza a favore delle norme di attuazione degli statuti speciali per la modifica della disciplina finanziaria degli enti ad autonomia differenziata” (sentenza n. 71 del 2012), tanto da configurare un”presidio procedurale della specialità finanziaria di tali enti” (sentenza n. 241 del 2012). Ne discende che, una deroga alle procedure sancite dal richiamato art. 27 della legge n. 42 del 2009,“non può trasformarsida transitoria eccezionein stabile allontanamento delle procedure previste da quest’ultimo articolo” (così ancora la già richiamata sent. n.238 del 2015) senza determinare una sostanziale vulnerazione delle guarentigie della specialità scolpite dalla normativa del 2009.
Esattamente il contrario di quel che è avvenuto negli ultimi tre anni con la compiacenza della Regione, o meglio di Crocetta e della sua maggioranza, e con effetti sicuramente dannosi per i suoi equilibri di bilancio e le concrete convenienze dello Stato che ha scaricato così parte degli oneri delle politiche di rigore imposte dall’UE sulla deprecata autonomia finanziaria siciliana, mortificandola.
Non è dato comprendere se si tratta di incompetenza o malafede, molto probabilmente di entrambe per continuare a depredare l’Isola. E questo mentre le politiche di sostegno al Mezzogiorno sono ormai archiviate da quattro anni, sostituite da slogan del tipo “il sud decolla”.
Quel che è certo è che i siciliani ne stanno patendo e ne patiranno ancor più ledrammatiche conseguenze e dovranno reagire al più presto perché il dissesto raggiungerà ogni famiglia.
Palermo 11 marzo 2016

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