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La class action pubblica e l’applicazione all’autonomia finanziaria regionale

di Gaetano Armao
Dems – Universita di Palermo

1.L’azione di classe pubblica (detta anche class action amministrativa di cui all’art. 1, c. 1, del d.lgs. n. 198/2009, emanato in attuazione dell’art. 4 della l. n. 15/2009, in materia di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici). è proponibile dai “titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori” nelle ipotesi nelle quali”derivi una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi”e nei casi tassativamente previsti dalla normativa,ed è finalizzata ad assicurare l’efficienza della pubblica amministrazione.
Sul piano della legittimazione attiva va sottolineato che. soggetti cui è riconosciuta legittimazione ad azionare il rimedio in parola sono dunque costituiti dagli “utenti e consumatori”: i cui interessi, rispetto alla gestione del servizio pubblico, ed alla erogazione delle relative prestazione, giustificano l’accesso al peculiare rimedio(T.A.R.Sicilia, Palermo, III, 29 maggio 2014, n. 1359).
L’art. 1 del d.lgs. n. 198/2009 stabilisce che presupposto per l’ammissibilità dell’azione sia “la violazione di termini o la mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente” – espressione quindi comprensiva sia delle ipotesi di mancata che di tardiva adozione del provvedimento richiesto, in guisa da consentire la valutazione dell’efficienza dell’attività amministrativa avuto riguardo ai profili di efficienza dell’amministrazione – consentendo quindi la proposizione dell’azione collettiva sia nelle ipotesi di violazione generalizzata dei termini procedimentali che in quelle di omessa adozione di atti generali a contenuto non normativo.
Risulta così evidente l’intendimento di assicurare, attraverso l’esercizio di tale tipologia di azioni, il principio dell’efficienza dell’azione amministrativa, di imparzialità e buon andamento (art. 97 Cost.) e di buona amministrazione (art.41 CDFUE).
La dottrina ne ha indicato ampiamente i limiti e deve convenirsi con la conclusione che questo istituto risulta per molti aspetti non pienamente rispondente alle aspettative di cittadini ed utenti (sul punto, da ultimo si vedano Salvia, Cancilla, 2013 e Gnes, 2014 e, più in generale, gli autori citati nella bibliografia sintetica).
E così l’esperienza di questi primi anni di applicazione, anche a causa dei vincoli e dei limiti sanciti dalla normativa, non appare significativa e foriera di positive ricadute per la collettività.
Per l’azione di classe pubblica, come noto, a differenza della class action disciplinata dal codice del consumo (artt. 140 bis e ss. d.lgs. 206 del 2005 e s.m.i., sulla quale v. da ultimo D’orta, 2014) – e tale profilo caratterizzante non milita in senso positivo in termini di effettività della tutela – è esclusa ogni forma risarcitoria. Giusta l’art. 1, comma 6 del citato d.lgs. 198/2009, infatti, “il ricorso per la class action pubblica non consente di ottenere il risarcimento del danno cagionato dagli atti e dai comportamenti di cui al comma 1; a tal fine, restano fermi i rimedi ordinari”.
In termini sintetici, ed alla stregua degli orientamenti della giurisprudenza amministrativa formatasi (sulla quale v. M. L. Maddalena, 2013),l’ammissibilità dell’azione di classe amministrativa postula la verifica della sussistenza di alcune fattispecie tipiche:
a) l’omessa emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento (v. Cons. Stato, VI, 9 giugno 2011, n. 3512;,T.A.R Sicilia, Palermo, I, 14 marzo 2012, I, n.559; T.A.R Sicilia, Palermo, I, 4 aprile 2012, n. 707;)T.A.R. Campania-Salerno,I, 16 ottobre 2013 n. 2054)

b) la violazione generalizzata di termini procedimentali (T.A.R Lazio, Roma, III bis19 maggio 2012, n. 4520;T.A.R Lazio, Roma, II quater, 6 settembre 2013, n.8154; , T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II quater, 26 febbraio 2014, n. 2257);
c) la violazione degli obblighi puntualmente definiti da norme di legge o di regolamento, anche a prescindere dall’adozione dei DPCM di cui all’art. 7 del d.lgs. 198/2009 (T.A.R Basilicata, I, 21 settembre 2011, n. 478 del; T.A.R Lazio, Roma, III ter, 16 settembre 2013, n. 8288; T.A.R. Lazio, Roma, I, 1 ottobre 2012, n. 8231)..
Con il termine “violazione” deve ritenersi che il legislatore abbia inteso indicare la generalizzata violazione dei termini di conclusione dei procedimenti, mentre con l’espressione “omissione” si è inteso riferirsi alla mancata adozione di atti generali a contenuto non normativo.;. Infine con il termine “inadempimento” il legislatore ha voluto indicare l’omesso rispetto degli standard qualitativi ed economici ovvero delle carte di servizi.
Condizione di procedibilità per la proposizione dell’azione collettiva pubblica sancita dall’art. 3 del d.lgs n. 198/2009 a carico del ricorrente è la preventiva notifica di una diffida all’amministrazione o al concessionario ad effettuare, entro il termine di novanta giorni, gli interventi necessari alla soddisfazione degli interessati.

Giova ricordare che l’azione di classe pubblica si differenzia, poi, dall’azione avverso il silenzio della pubblica amministrazione (artt. 31 e 117 c.p.a.) per l’oggetto della domanda che il ricorrente propone al giudice amministrativo. Ed infatti, pur rinvenendo il proprio presupposto nella violazione, da parte dell’amministrazione, del termine fissato per legge o per regolamento ovvero con atto amministrativo generale, per l’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento che lo riguarda, nella seconda ipotesi, l’oggetto del giudizio è l’accertamento giudizialedell’illecita violazione dei terminicircoscritto alla condanna dell’amministrazione a provvedere “di regola” entro trenta giorni o comunque entro altro termine assegnato dal giudice amministrativo per concludere il procedimento che lo vede diretto ed esclusivo interessato.
Nell’azione di classe pubblica, invece, la domanda giudiziale del ricorrente ha uno spettro più ampio ed è preordinata ad ottenere che l’amministrazione convenuta ponga fine al comportamento costantemente elusivo delle regole imposte dall’ordinamento sul rispetto dei termini procedimentali, potendoil giudice amministrativo imporre l’emanazione di un provvedimento giudiziale particolarmente penetrante e complesso nella sua attuazione da parte dell’ente (T.A.R. Lazio, Roma, II quater, 26 febbraio 2014, n. 2257).
Per alcuni aspetti all’azione di classe pubblica può essere ricondotta la tutela del diritto di accesso civico (art. 5 e ss. del d.lgs. n. 33/2013). Diritto che come noto ha caratteri diversi dal diritto di accesso (artt. 22, commi 3, 1 lettera b e 24, comma 3 l. n. 241/1990 e s.m.i.). Ed infatti,il primo garantisce l’inveramento dell’obbligo di pubblicazione di una serie di documenti negli stessi siti istituzionali delle P.A, sancendo nei confronti di chiunque il diritto ad accedere a tali siti automaticamente e direttamente senza autenticazione ed identificazione.
In caso di omessa pubblicazione può essere esercitato ai sensi dell’art. 5 d.lgs il cd. accesso civico consistente in una richiesta che “non deve essere motivata”, ad effettuare gratuitamente tale diritto con possibilità, in caso di inadempimento all’obbligo in questione, di ricorrere al giudice amministrativo secondo le disposizioni contenute nel relativo codice del processo amministrativo.
Si realizza così un diverso bilanciamento (più orientato a garantire la trasparenza) riguardo ai diversi interessi alla riservatezza (privata e pubblica); un sistema al contempo più favorevole, in quanto determina la pubblicità di alcune categorie di informazioni, indipendentemente dalla richiesta di un istante (e certamente più restrittivo dei modelli ispirati al Freedom of information Act di matrice statunitense), per quanto concerne le informazioni escluse dal novero di quelle indicate dal d.lgs. n. 33 del 2013 e s.m.i. (sul tema sia consentito rinviare ad Armao, 2014).
In tal guisa, da un lato, ad eccezione delle informazioni sottoposte all’obbligo di pubblicazione, permane il diritto di accesso tradizionale pur con i suoi rilevanti limiti ed esigenze di contemperamento con gli interessi alla riservatezza, nel caso delle informazioni previste dalla normativa in esame (circa 270) il bilanciamento e’ risolto dal legislatore, in modo diretto e generalizzato ed in tale contesto si innesta la peculiare figura dell’accesso civico.
Sul punto un primo e recente arresto giurisprudenziale (Consiglio di Stato, VI, 20 novembre 2013, n. 5515) fornisce utili elementi interpretativi. Secondo il giudice amministrativo, infatti, l’accesso ai documenti amministrativi costituisce principio generale dell’attività amministrativa, al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza, è anche vero che si richiede per l’accesso un “interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso” e che “non sono ammissibili istanze di accesso, preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni”, essendo tale controllo estraneo alle finalità, perseguite attraverso l’istituto di cui trattasi (artt. 22, commi 3, 1 lettera b e 24, comma 3 l. n. 241 del 1990 e s.m.i.).Più specificamente il diritto di accesso agli atti (così Cons. Stato, IV, 4 settembre 2012, n. 4671) non può, quale posizione giuridica soggettiva autonomamente rilevante e tutelata, sfuggire all’ineliminabile correlazione con un interesse, oltre che attuale e concreto, diretto (ossia immediatamente riferibile alla sfera giuridica dell’istante in termini di sua pertinenza ad essa e quindi, come tale, personale) quindi non ipotetico e astratto
Le nuove disposizionidettate con d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni disciplinano situazioninon ampliative né sovrapponibili a quelle che consentono l’accesso ai documenti amministrativi, ai sensi degli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i.
Il decreto, che trova pacifica applicazione anche nell’ordinamento della Regione siciliana, riconosce altresì riconosciuto il diritto al riutilizzo delle informazioni che debbono essere ostese mediante dati aperti (open data). Attraverso tale modalità le informazioni vengono rese pubbliche e conoscibili e costituiscono il sostrato per nuove elaborazioni dei comportamenti dell’amministrazione pubblica. Si realizza così una forma di conoscenza dinamica di cui la pubblicità è solo il primo stadio e gli adempimenti nel settore del riutilizzo dei dati aperti costituiscono un elemento essenziale per garantire la piena applicazione del decreto n. 33 del 2013 e s.m.i.
Tornando all’azione di classe pubblica va sottolineato che essa non può ritenersi preclusa pubblica laddove la disciplina dei termini di conclusione del procedimento sia interamente compiuta a livello legislativo e regolamentare e pertanto debba ritenersi che la predeterminazione del termine sia stata effettuata già valutando la sussistenza delle risorse economiche e strumentali. Con la conseguenza che la statuizione del giudice che obbliga le amministrazioni ad attenersi scrupolosamente ai parametri normativi fissati per la tempestiva conclusione dei procedimenti va comunque subordinata a quello che, giustamente, è ritenuto uno dei limiti dell’istituto in questione: il rispetto “delle risorse strumentali, finanziarie e umane concretamente a disposizione” (T.A.R. Sicilia, Palermo,I, 14 marzo 2012, n.559; TarT.A.R. Lazio, Roma, III ter, 16 settembre 2013, n. 8288).
Parimenti la forma di tutela giurisdizionale in argomento, anche in forma immediata, non potendosi ritenere sussistenti particolari condizioni o preclusioni sul piano della procedibilità dell’azione di classe pubblica (Cons. Stato, III, 27 maggio 2014, n. 2720), va ritenuta esperibile per utenti, singolarmente o collettivamente, anche nei casi in cui questi possono rivolgere all’Autorità di regolamentazione, lamentando disservizi di vario genere imputabili agli operatori di un servizio pubblico universale.

2. In Sicilia l’istituto dell’azione di classe pubblica ha trovato limitata applicazione, come si evince dalle pronunce richiamate.
Un caso recente, che tuttavia non è sfociato in un giudizio, ma si è limitato alla proposizione della diffida, concerne l’accordo in materia finanziaria sottoscritto dal Presidente della Regione siciliana con il Ministro dell’Economia e delle finanzeil 5 giugno 2014. La diffida è stata notificata da diverse associazioni il 7 luglio scorso.
Con tale accordo la Presidenza della Regione, al fine di veder certificato il raggiungimento del patto di stabilità per il 2013 e di conseguire limitati spazi finanziari (circa 500 mn €) per l’esercizio 2014 ha rinunciato ai contenziosi promossi dalla Regione a tutela della propria autonomia finanziaria in tutte le sedi giurisdizionali (costituzionali, ordinarie ed amministrative, per circa 4 md €).
Gli obblighi assunti dal Presidente della Regione – che non risulta abbiano precedenti in quelli stipulati con le altre Regioni speciali – non solo non trovano riferimento nella norma invocata a fondamento di detto accordo (l. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1 c. 454), ma neanche nella più ampia previsione dell’art. 27 della l. n. 42 del 2009, nella lettura che ne ha offerto la Corte costituzionale nella copiosa giurisprudenza in materia con la quale il Giudice delle leggi ha riconosciuto l’autonomia finanziaria della Regione (201/2010;152/2011, 64,71,178/2012; 219/2013, 145/2014 etc.), che anche a voler ritenere applicabile alla fattispecie, postula ben altre forme per l’assunzione della decisione finale
Giusta l’art. 1 della l.r. 6 maggio 2014, n. 11 la Regione siciliana ha acceduto alle anticipazioni di liquidità previste dall’articolo 2 del decreto legge 8 aprile 2013, n. 35 conv. con mod. dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, sino all’importo di 347 milioni di euro e dall’articolo 3 del medesimo decreto legge, sino all’importo di 606 milioni di euro (c.d. ‘Salva imprese’), prevedendo il rimborso delle anticipazioni di liquidità mediante un piano di ammortamento trentennale e quindi nel presupposto, prospettato dal Governo regionale, che non vi fossero altre risorse disponibili.
In particolare la norma – superando così la proposta di introdurre nuove forme di tassazione in un primo momento formulata dal Governo regionale – prevede che per il biennio 2015-2016 quota parte del gettito derivante dalle maggiorazioni dell’aliquota dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) e dell’addizionale regionale dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) disposta dall’articolo 1, c, 1, della l.r. 2 maggio 2007, n. 12, sia destinata prioritariamente alla copertura degli oneri finanziari di cui alle anticipazioni di liquidità in questione.
E ciò nonostante il minore disavanzo del settore sanatorio rispetto alla previsione di cui al piano di rientro, certificato dal tavolo tecnico di cui agli articoli 9 e 12 dell’Intesa del 23 marzo 2005 sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, potesse consentire, già dal 2014, per pari importo, la riduzione dell’aliquota sulle addizionali IRPEF e IRAP a carico dei contribuenti siciliani (ed il cui gettito complessivo delle addizionali è stimato, per ciascuno degli anni 2015-16, in 330 mn. €), mentre a decorrere dall’esercizio 2017, i maggiori gettiti di cui alle imposte in questione sono destinati prioritariamente alla copertura degli oneri finanziari derivanti dalle anticipazioni di liquidità indicate.
Il Governo regionale, certificato il risultato conseguito del rientro del piano sanitario in esito a misure adottate con successo dalla Regione siciliana sin dal 2008, circostanza che avrebbe consentito di diminuire la pressione fiscale su cittadini ed imprese in Sicilia, ha quindi ritenuto di mantenere al massimo le addizionali fiscali per finanziare il c.d. “Mutuo salva imprese”, aggravando ulteriormente la situazione debitoria della Regione.
Da qui il ricorso all’azione collettiva da parte delle associazioni istanti volte ad ottenere, attraverso la proposizione dell’azione il ripristino del corretto svolgimento della funzione amministrativa.
L’approvazione da parte dell’Assemblea regionale siciliana della l.r. 12 agosto 2014, n. 21(assestamento del bilancio 2014) ed il conseguente recepimento di tale accordo a livello legislativo ha reso impraticabile la pur problematica proposizione del ricorso al giudice amministrativo.
3. La questione si riconnette alla situazione finanziaria dell’Isola, alla quale si accenna conclusivamente; situazione che si deteriora progressivamente nel contesto di una crisi istituzionale ed economica senza precedenti e che ha accresciuto il divario rispetto al Nord, ma che puòessere affrontata con l’utilizzo responsabile delle prerogative autonomistiche.
D’altra parte le disparità tra le diverse aree del Paese non sono più superabili con strumenti di natura congiunturale e l’enorme massa raggiunta dal debito pubblico impediràl’adozione di misure di riequilibrio del divario per eliminare il quale sarebbero necessari una straordinaria convinzione politicaed un imponente investimento di capitali che appare tuttavia irrealistico per l’irrigidimento dei vincoli di finanza pubblica europei.
Di fronte al fallimento di un piano ‘piano industriale’ incentrato sulla distribuzione di risorse pubbliche a cittadini ed imprese, con buona pace della programmazione europea, anche nei casi di pieno impiego dei fondi strutturali per la coesione,occorre ripensare a nuovi modelli di sviluppo.
Se lo Stato non riesce ad assicurare la progressiva riduzione del divario attraverso il sostegno finanziario ordinario e straordinario che garantiscano la perequazione infrastrutturale, non resta che puntare al riconoscimento della piena autonomia finanziaria ed all’esercizio delle prerogative fiscali, mediante misure come la fiscalità compensativa (o di vantaggio: credito d’imposta, zone franche, esenzioni per attrazione di investimenti e localizzazioni).
Il sostanziale ridimensionamento degli investimenti statali nel Meridione, seppur quale effetto indotto dalle recenti misure di austerità, ha pregiudicato il mercato interno, anche a causa dell’interdipendenza produttiva tra Mezzogiorno e Nord d’Italia. Ciò dovrebbe indurre a propendere per uno sviluppo economico complessivo del “sistema Paese”, ma le iniziative sin qui intraprese non hanno colto l’urgenza di questi argomenti per scongiurare la disgregazione dell’Italia e l’oblio del Mezzogiorno, anzi l’attenzione verso il Sud scema progressivamente.
E’ vero: sono troppi i casi nei quali l’attuazione della specialità – sopratutto nelle Regioni meridionali – hafunzionato come ostacolo allo sviluppo, impedendo alle istituzioni regionali di porsi in sintonia con significativeinnovazioni regolative ed amministrative, quando non si è limitata a ritardarne l’applicazione e, dall’altro, ha garantito la diffusione ed il mantenimento di privilegi.
Il superamento dell’attuale fase di smarrimento delle prerogative autonomistiche, compresse dalle misure di austerità e di uso spesso inefficiente delle risorse europee,non può sfociare nella soppressione della specialità, tentativo emerso nel riaperto dibattito sulle riforme istituzionali.
La situazione che la Sicilia deve affrontare, e con essa l’intero Meridione, impone interventi di perequazione e di fiscalità compensativa, investimenti infrastrutturali e tutela dell’insularità correlati a misure di rafforzamento della legalità e dell’efficienza del sistema burocratico.
I profondi mutamenti degli scenari istituzionali ed economici del Mediterraneo, le opportunità ed i vincoli scaturenti dal rafforzamento dell’integrazione europea, l’aggravarsi del divario economico-sociale del Paese, impongono una concezione moderna e rinnovata della ‘questione meridionale‘, che punti, con responsabilità e competenza, alla modernizzazione delle istituzioni regionali, alla tutela dell’insularità, all’autonomia fiscale per attrarre investimenti produttivi esterni all’area.
Chi sostiene che l’autonomia speciale e’ stata una grande occasione perduta per la Sicilia afferma una verità per molti aspetti condivisibile, seppur non scevra da elementi di contraddizione. E’ indiscutibile, tuttavia, che l’autonomia abbia offerto all’Isola alcuni strumenti che hanno consentito di crescere e svilupparsi, o anche semplicemente di rivendicare interventi e misure di sostegno che altre aree del sud hanno visto pesantemente ridurre, senza poter nulla opporre. L’apparato autonomistico, concepito ed utilizzato in termini di “antagonismo istituzionale”, per assicurare alla Regione competenze, risorse e personale, e’ divenuto causa di isolamento, smarrendo per strada l’obiettivo di superamento del divario e di coesione ecomomico-sociale
Ed il divario, quest’enorme ed irrisolta frattura delPaese, è rimasto lì, sostanzialmente immutabile, solo scalfito dagli interventi e dalle misure approntate ed adesso fortemente aggravato dalla pesante crisi finanziaria ed economica che attraversa ormai da anni il Paese.

Bibliografia sintetica:
G. Armao, Open Government. Trasparenza totale ed applicazione nella Regione siciliana, Palermo, 2014, al quale si rinvia per più articolati riferimenti in dottrina sul tema;
M. T.Paola Caputi Jambrenghi, Buona amministrazione tra garanzie interne e prospettive comunitarie (a proposito di ««class action all’italiana»), in www.giustamm.it, 9/2010;
F. Cintioli, Note sulla c.d. class action amministrativa, in www.giustamm.it, 8/2010;
M. Clarich, Dalla class action alle nuove regole sugli appalti il 2010 spinge l’acceleratore sull’aggiornamento, in Guida dir., 2010, 12;
C. D’orta, La Class action tra proclami e deterrence, Torino, 2014;
A. Fabri, Le azioni collettive nei confronti della pubblica amministrazione nella sistematica delle azioni non individuali, Napoli, 2011;
G. Fidone, L’azione per l’efficienza nel processo amministrativo: dal giudizio sull’atto a quello sull’attività, Torino, 2012;
C. E.Gallo,La class action nei confronti della pubblica amministrazione, in Urb. e app., 5/2010, 501 ss.;
M. Gnes, L’applicazione della class actionpubblica in materiadi immigrazione. Il commento, in Giorn. dir. Amm, 7/2014, 734 e ss.
M. L. Maddalena, La class action pubblica. Rassegna monotematica di giurisprudenza, in www.giustizia-amministrativa.it, 12/2013;
F. Manganaro, L’azione di classe in un’amministrazione che cambia, in www.giustamm.it, 4/2010;
F. Patroni Griffi, Class action e ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari pubblici, in www.federalismi.it, 13/2010;
F. Salvia, F.A. Cancilla,, Le azioni, in A. Sandulli (a cura di), Diritto processuale amministrativo, Milano 2013, 126 e ss.
G. Soricelli, Contributo allo studio della class action nel sistema amministrativo italiano, Milano, 2012;
C.Tubertini, La prima applicazione della ««class action amministrativa», inGiorn. dir. amm., 8/2011, 862 ss.;

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