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QUARTA PUNTATA/I 70 anni dello Statuto, la conquista dell’autogoverno, il diritto dei siciliani al progresso

L’AUTONOMIA SICILIANA TRA OBLIO E RILANCIO NELLA PROSPETTIVA DELLA RIFORMA COSTITUZIONALE

di Gaetano Armao (Docente di diritto amministrativo europeo e contabilità pubblica nell’Università di Palermo)

In un contesto già logorato di dissesto istituzionale è irrotta la crisi economica e finanziaria della Regione che ha condotto l’autonomia ad arenarsi, divenendo così inerme rispetto alle spinte accentratrici.

Ma questa situazione, che in buona parte viene da lontano e porta con se gli effetti di pratiche scellerate di amministrazione, è stata aggravata dalla progressiva riduzione degli investimenti dello Stato e dalla richiesta, da parte di quest’ultimo, di sempre più ingenti risorse a titolo di concorso al riequilibrio della finanza pubblica.

Di fronte ai primi timidi sintomi di ripresa del Paese nessun indicatore economico del Mezzogiorno, ed ancor più della Sicilia, mostra inversioni di tendenza e non può certamente pensarsi di affidare il recupero di quasi 18 punti di pil persi in 8 anni di crisi al trascinamento che potrà determinare la pur flebile tendenza economica nazionale.

Ed in questa corsa dell’incremento del divario nord-sud, della scomparsa delle opportunità per i giovani, purtroppo, la Sicilia non è diversa dalla Calabria, Regione che speciale non è. Questo fenomeno ha colpito prevalentemente il Sud del Paese, frutto di una politica che ha archiviato la questione meridionale, sopratutto negli ultimi anni, salvo ad accorgersene con ritardo dopo le ultime drammatiche conclusioni del Rapporto Svimez o di quello della Fondazione Curella per il 2015, rinviando ad improbabili “masterplan” che, privi di contenuti innovativi, rischiano di costituire soltanto una scorciatoia propagandistica.

Per superare il divario infrastrutturale, con questi ritmi di investimento, occorrerebbero più di 400 anni, mentre l’intervento statale di perequazione è stato fortemente ridotto sostituendolo – in contrasto con le previsioni del diritto europeo che impongono la portata aggiuntiva e non alternativa agli interventi statali -, con quello di provenienza comunitaria (a sua volta diminuito in relazione agli effetti del l’allargamento UE). La Sicilia, in queste condizioni, non ha alcun possibilità di competere realmente con altre aree a sviluppo ritardato.

Da qui la ritrovata consapevolezza che “occorre creare una forza di pressione capace di controbilanciare le spinte e le sollecitazioni che sull’apparato politico-burocratico esercita la struttura socio-finanziaria del Nord”. Sono parole di P. Mattarella, inascoltato Presidente della Regione siciliana, che già nel 1971, era ben conscio delle spinte che intendevano emarginare la Sicilia.

L’Europa parla la lingua dei territori, delle loro vocazioni, della capacità di costruire scenari nuovi e non le parole stantie dell’accentramento statale che in Italia sembra adesso prevalere. Scozia, Catalogna, Paesi Baschi, ma guardando all’insularità: Corsica, Baleari, Canarie, Azzorre, Madeira, la stessa Sardegna, rivendicano un percorso di rafforzamento dei territori nella dimensione europea.

Occorre, quindi, ripensare le ragioni, ma sopratutto gli strumenti della specialità, se non addirittura dell’autodeterminazione, puntando su riforme strutturali, rafforzamento dell’autonomia finanziaria, interventi infrastrutturali, attrazione di investimenti mediante fiscalità di sviluppo, sostegno alle start-up ed agli spin-off universitari, coinvolgimento dei privati nella valorizzazione dei beni culturali.

Solo così si può restituire senso alla specialità quale strumento “inclusivo” per garantire il diritto all’innovazione ed a politiche di vantaggio per i siciliani e non per gestire un’agonia attraverso ormai insostenibili misure ‘estrattive’ di tipo clientelare.

A coloro che postulano poi una riduzione della potestà finanziaria e tributaria della Regione, poiché ai siciliani non converrebbe più essere autonomi in quanto l’istituto autonomistico non sarebbe più finanziariamente sostenibile anche inverando tutte le prerogative statutarie, sicché sarebbe meglio dipendere dai trasferimenti statali decisi annualmente (salvo a scoprire che fantomatici “masterplan” ed interventi finanziari restituiscono alla Sicilia risorse, prevalentemente già assegnate emdi gran lunga inferiori rispetto a quel che le spetta sulla base delle vigenti prescrizioni finanziare dello Statuto), occorre ricordare il pensiero di Luigi Sturzo che nel 1949 affermava: “senza autonomia finanziaria la regione, anche dotata di larga potestà legislativa, sarebbe un ente ….. ridotto pari a qualsiasi altro ente che dipenda dallo Stato”.

Con l’accentramento e lo smantellamento dell’autonomia si avvierebbe un percorso sostanzialmente opposto, non solo riguardo alla storia della Sicilia, ma anche rispetto a quello che sta avvenendo in Europa, nel Regno Unito, in Spagna e persino in Francia, dove i territori reclamano ed attengono livelli crescenti di autogoverno.

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