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Se l’autonomia è ancora un valore

Gaetano Armao
Docente di diritto amministrativo nell’Università di Palermo
Coordinatore Nazionale di SICILIA NAZIONE

 

È in atto una recrudescenza di pesanti attacchi all’Autonomia della Sicilia e nel contempo ad una pervicace azione di spoliazione di risorse, eliminazione di trasferimenti e di opportunità drammaticamente fotografata dai Reports degli istituti di analisi economica del Mezzogiorno.

La devastante incapacità dell’attuale Governo regionale e della coalizione che lo sostiene ha offerto il pretesto, addirittura a soggetti ed ai loro circuiti di interessiche questa imbarazzante esperienza rappresentano ed al fine di sfilarsi in qualche modo dal misfatto, per scaricarne sulle istituzioni le incapacità.

E così si perpetua la sindrome del martello: se un maldestro neofita del bricolage utilizza un martello come una clava e se lo da sul dito e poi se la prende con l’utensile e lo getta, non porterà mai a termine l’opera e sarà privato uno strumento essenziale.

Si sono così infittiti attacchi di politici, sindacalisti, imprenditori e di alcuni media nei quali però s’intravede l’avanguardia di un più ampio schieramento, pronto allo scontro finale in occasione della riforma della seconda parte della Costituzione all’esame del Parlamento che già penalizza le Regioni a statuto speciale.

Si distinguono tra questi quelli di alcuni siciliani, come se le prime truppe fossero quelle di casa; come se dovesse sembrare una rivendicazione dall’interno di libertà e di affrancamento da un’autonomia che si sarebbe trasformata in trappola.

Così devono registrarsi drastici interventi di censura provenienti da taluni esponenti della stampa, dello spettacolo, proprio di origine siciliana, che si sono aggiunti a noti giornalisti della stampa nazionale. In questo contesto si distinguono però alcuni  politici siciliani del centro-sinistra, nel solco di una lunga tradizione per cui è sempre colpa di qualcun altro e non di una classe dirigente prevalentemente priva di competenzee cultura delle istituzioni.

Insomma attacchi provenienti da settori che non solo sonoresponsabili delle scelte politiche degli ultimi anni – sia a livello regionale che nazionale -, ma che, appare evidente, utilizzerannoquesti slogan per i prossimi appuntamenti elettorali per distogliere l’attenzione dalle responsabilità alle quali non possonosottrarsi per aver contribuito a propinare alla Sicilia l’inefficienza dell’attuale Governo”della rivoluzione”.

Alcuni di coloro che sono intervenuti postulano una minorità antropologica dei siciliani, che sarebbero incapaci di autogovernarsi (figuriamoci di autodeterminarsi), nascondendo che lagestione dell’autonomia da parte dei partiti nazionali (di certa DC, poi del Centro-destra sino al PD) l’ha trasformata in un sistemaclientelare che doveva assicurare consenso, utilizzando risorse pubbliche per consolidare il potere a Roma.

Non si tratta qui di qualificarli ascari o rottamatori. Si tratta di rivalutare la fedeltà ad un’idea di rappresentanza del territorio. Ebbene chi svolge una missione servente ai poteri nazionali (politici o imprenditoriali che siano) non potrà mai sostenere l’autonomia tranne che, come partiti e sindacati hanno fatto per anni, snaturandola a per porla al servizio dei gruppi di potere che intendono saccheggiare le risorse dell’Isola ed utilizzarla come pattumiera.

Se la Sicilia viene prima di tutto, allora partiti, sindacati, associazioni di categoria servono se ed in quanto ne garantiscono la crescita ed il progresso, non il contrario.

E che l’Autonomia sia un ostacolo alle loro mire è confermato dal fatto che, se si rispetta lo Statuto, in Sicilia non sarebbe possibile trivellare per estrarre petrolio a terra ed in mare, né impiantare sovradimensionati e antiquati termovalorizzatori, né depositare scorie nucleari come si prospetta nei programmi nazionali, senza avere l’assenso della Regione. Come pure sottrarre risorse miliardarie risanando il bilancio statale con il concorsodei siciliani che perdonopiù degli altri italiani in qualità di vita.

Gli enunciati di questi attacchi sono falsi sul piano politico e giuridico, ed utilizzano tecniche demagogiche e fuorvianti proprie della pubblicità ingannevole .

Si attribuiscono allo Statuto le responsabilità del malgoverno e dei privilegi della politica e si aggiunge di voler essere normali e non speciali quale chiave per dare sviluppo alla Sicilia.

Argomenti che non convincono.

Al netto di alcuni scatti di dignità, è incontrovertibile che le istituzioni regionali siano state governate per consolidare il potere dei partiti e dei gruppi di potere nazionale (anche imprenditoriali e sindacali). Anche i privilegi delle caste sono stati costruiti non perché lo prevedesse lo Statuto speciale, ma come ‘mancia’ della politica statale a quella regionale per i servigi resi.

E questo fenomeno ha colpito prevalentemente il Sud del Paese, frutto di una politica che ha archiviato la questione meridionale, sopratutto negli ultimi anni, salvo ad accorgersene con ritardo dopo le ultime drammatiche conclusioni del Rapporto Svimez  2015, rinviando a futuri “masterplan” che senza contenuti rischiano di costituire una scorciatoia propagandistica.

Di fronte ai primi timidi sintomi di ripresa del Paese nessun indicatore economico del Mezzogiorno ed ancor più della Sicilia mostra inversioni di tendenza e non può certamente pensarsi di affidare il recupero di quasi 20 punti di pil persi in 8 anni di crisi al trascinamento che potrà effettuare la tendenza economica nazionale.

Ed in questa corsa al ribasso del pil, delle opportunità per i giovani, purtroppo, la Sicilia non è diversa dalla Calabria, Regione che speciale non è.

Non si comprende allora in cosa consista il pregiudizio della specialità che tanti solerti rottamatori vogliono colpire quale causa del sottosviluppo.

Occorre aggiungere che peculiare è la nostra storia e speciale la nostra geografia (siamo stati indipendenti per secoli e siamo la più grande isola del mediterraneo, molto più grande di tanti Stati sovrani).

E questo si collega con la storia e l’esperienza europea.Non c’è, infatti, alcuna grande isola o arcipelago del continente che non sia Stato o Regione con particolare autonomia. E per questo l’Europa riconosce l’insularità ed appronta strumenti di vantaggio che garantiscano la coesione economico-territoriale.

Sicché è antistorico ed antieuropeoimmaginare di ridurre i margini di autonomia per la Sicilia.

Lo Statuto di autonomia, ottenuto sulla base di una straordinaria esperienza che affonda le proprie radici nel costituzionalismo europeo, è il risultato di battaglie ideali e di spinte di interessi regionali.

La nascente Repubblica ha dovuto riconoscerlo, anche per scongiurare le forti spinte indipendentiste, salvo poi a svilirlo in un ‘bradisismo istituzionale’ che ne ha progressivamente depotenziato la portata (non senza l’avallo della giurisprudenza costituzionale e di una lettura distorta dell’interesse nazionale e delle competenze statali c.d. trasversali con le conseguenza di esautorare la potestà legislativa regionale). A questo vanno aggiunte le gravissime responsabilità della politica siciliana, dominata da esponenti dei partiti nazionali, che attraverso ritardi ed inerzie hanno trasformato l’autonomia normativa in una zavorra ed ingrossando, invece, i ranghi di un apparato burocratico con finalità prevalentemente clientelari ed effetti depressivi per l’economia, l’efficienza delle imprese e la qualità della vita dei cittadini.

Da qui la mancata applicazione, se non la violazione, di molte sue parti, al fine di garantire il drenaggio di ingenti risorse in favore del Nord, lasciando così proliferare mafia e malaffare.

Lo Statuto non è stato applicato nelle parti più importanti per volontà dello Stato che ha drenato risorse dall’Isola – da ultimo con la legge di stabilità votata da deputati e senatori siciliani che sostengono il Governo nazionaleo col beneplacito della Giunta regionale – per  spostarle in favore di imprese ed infrastrutture del Nord Italia (il caso della Bre-Be-Mi assume connotatiparadossali).

Come si fa allora a scaricare le colpe su qualcosa che è stata svilita ed utilizzata dalle propaggini partitiche soltanto per finalità clientelari (quando non addirittura di arricchimento personale), per togliere alla Sicilia la sua autonomia?

Il sillogismo di chi ascrive ogni responsabilità alla specialità può funzionare, non c’è che dire, ma gli attacchi si limitano a battute generiche senza entrar nel merito delle questioni.

Proviamo a farlo, seppur sinteticamente:

  • la drammatica situazione finanziaria siciliana è dovuta, oltre che al malgoverno (purtroppo comune anche a molte altre regioni), al mancato versamento dello Stato di quanto dovuto e alla continua sottrazione di risorse. Il governo nazionale, solo per fare un esempio, ha imposto (e quello regionale ha incredibilmente accettato) che la Sicilia rinunciasse ai contenziosi con lo Stato e che rinunciasse persino ai proventi di quelli in corso risultati vincenti per oltre cinque miliardi. Senza dire che la mancata attuazione della parte finanziaria dello Statuto sottrae 3/4 miliardi l’anno alle casse regionali, mentre le imprese siciliane sono le più tartassate dal fisco. Quale sarebbela colpa dell’Autonomia?
  • L’elevato numero dei dipendenti della Regione, al di là della necessità ovvia di ridurli e di utilizzarli al meglio – ma pur disponendo di una norma innovativa il Governo Crocetta non lo ha fatto – è da attribuire alle competenze che lo Statuto assegna alla Sicilia. Come già dimostrato il numero dei dipendenti della Regioni al netto delle funzioni che nelle altre Regioni svolge lo Stato sono proporzionalmente minori.
  • In settori dove lo Stato ha competenza esclusiva (Universita’ e ricerca) il Sud e la Sicilia risultano totalmente penalizzati. In termini di fondi per i giovani ricercatori ed i dottorati di ricerca, per i laboratori universitari e le biblioteche, gli atenei siciliani vedono ridurre drasticamente i trasferimenti. E così le quattro università siciliane perdono il 30% dei propri studenti poiché l’emigrazione comincia dopo la maturità.
  • Sulle infrastrutture di competenza statale (autostrade e viabilità ANAS, ferrovie, porti ed aereoporti) siamo al disastro ed al disimpegno assoluto. La Catania-Palermo grida vendetta; per Del Rio il problema del sud non è costituito dalle infrastrutture, così che, con il connivente silenzio dei maggiorenti locali del suo partito, si possono spostare ingenti risorse al Nord. Oltre ai gravissimi ritardi nella realizzazione di infrastrutture, causa della perdita di ingenti risorse europee.
  • Infine, ma si tratta di un elenco sintetico, la disastrosa gestione delle politiche di immigrazione (anche queste di esclusiva competenza statale) che scarica sulla Sicilia un peso insopportabile, sfruttando il nostro spirito di ospitalità e solidarietà.

Da qui la consapevolezza che “occorre creare una forza di pressione capace di controbilanciare le spinte e le sollecitazioni che sull’apparato politico-burocratico esercita la struttura socio finanziaria del Nord“.Sono parole di Piersanti Mattarella, inascoltato Presidente della Regione siciliana, che nel 1971 era già ben conscio delle spinte che intendevano emarginare la Sicilia.

E coloro che attaccano la specialità sono i primi a vanificare questo impegno.

Si risponda in modo chiaro, portando dati concreti, e si smetta di utilizzare argomenti demagogici e ormai usurati.

Lo Statuto speciale rappresenta, invero, un approdo ormai inadeguato, poiché non è riuscito ad interpretare il diritto all’innovazione ed a politiche di vantaggio per i cittadini siciliani. Ma questo solo in quanto è stato sfregiato dalla mancata attuazione, e questo impone di chiedere di più, e non certo di meno.

Occorre ridiscutere il “patto” della Sicilia con l’Italia e chiedere di realizzare un rapporto federativo tra la Nazione Siciliana e lo Stato italiano, in una prospettiva di federalismo, rafforzato aperto alla dimensione europea.

L’Europa parla la lingua dei territori, delle loro vocazioni, della capacità di costruire scenari nuovi e non le parole stantie dell’accentramento statale che i partiti dominanti voglio imporre.

Scozia e Catalogna, ma guardando all’insularità Irlanda, Malta, Cipro, Corsica, Baleari, Azzorre, rivendicano un percorso nuovo di rafforzamento dei territori nella dimensione europea.

Gli esponenti degli stessi partiti e gruppi di interesse che hanno schiacciato la Sicilia e il suo Statuto, attribuiscono oggi ad esso le colpe della situazione di drammatico impoverimento dei siciliani.

È quindi necessario reagire ad una prospettiva di ‘decrescita infelice’ alla quale sembra condannata l’Isola – non dal destino cinico e baro, ma da precise scelte ed inerzie della politica che ritengono che solo l’eliminazione dell’autonomia possa curare i mali -puntandosu un programma di crescita e coesione incentrato su riforme strutturali, rafforzamento dell’autonomia finanziaria, interventi infrastrutturali, attrazione di investimenti mediante fiscalità di vantaggio, sostegno alle start-up ed agli spin-off universitari, coinvolgimento dei privati nella valorizzazione dei beni culturali.

Solo così si può restituire senso alla specialità quale strumento “inclusivo” per garantire il diritto all’innovazione ed a politiche di vantaggio per isiciliani e non per gestire un’agonia attraverso ormai insostenibili misure  ‘estrattive’ di tipo clientelare.

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